Il futuro del biogas dopo il 2020

Man mano che si avvicina la scadenza del Piano europeo per il clima e l’energia (Climate and energy package), l’Ue si prepara a correggere il tiro per il decennio successivo. In tale ottica, la Ce ha incaricato alle Università di Delft e Wagenigen (NL) e alla ditta di consulenze Eclareon GmbH (D) la redazione di uno studio su quali siano le politiche da attuare e le barriere non tecnologiche da abbattere per lo sfruttamento sostenibile del biogas.

Il portale Agronotizie ha pubblicato un riassunto delle circa 150 pagine dello studio, puntando l’attenzione su come potrebbero evolversi le direttive attuali in materia di economia circolare e come queste potrebbero influire sul settore agrozootecnico.

Gli scenari di sviluppo futuro del biogas fra il 2020 e il 2030

Lo studio in questione prende come base di partenza lo stato al 31/12/2014, assumendo quattro possibili scenari di sviluppo del biogas fra il 2020 e il 2030, in base alle politiche e direttive che potrebbe emanare la Ce nell’immediato futuro.
Tutti e quattro gli scenari presuppongono che la direttiva Iluc (Indirect land use change, cambio indiretto della destinazione di uso del suolo) rimanga invariata o, addirittura, venga resa più restrittiva. Tale ipotesi equivale a definire un tetto massimo del 20% di colture dedicate sulla massa totale dei substrati utilizzati attualmente per la produzione di biogas. Gli sviluppi tecnologici vengono presi in considerazione, con due diversi livelli di aumento ipotetico delle rese di metano derivanti da miglioramenti del processo. Modelli alternativi di alimentazione dei digestori, quali il fantomatico utilizzo di alghe coltivate in stagni o fotobioreattori o il concetto “biogasfattobene®” del Cib sono stati deliberatamente esclusi dai quattro scenari analizzati nel rapporto in oggetto, in quanto giudicati  dai ricercatori come “potenzialmente rilevanti solo a partire dal 2030”.

Il motivo di ciò è semplice e pragmatico: esiste ancora molta biomassa potenzialmente utilizzabile con il criterio della filiera corta, che viene sprecata nelle discariche o negli inceneritori, o semplicemente lasciata marcire inutilmente, la quale dovrebbe essere considerata prioritaria nelle politiche europee. Non sono state considerate la liquefazione, né la compressione del biometano e nemmeno il loro trasporto con carri bombolai, per considerare tali soluzioni meno efficienti energeticamente.
Tale ipotesi, a nostro modesto parere, non è realistica, perché di fatto esistono già impianti del genere in Europa e in alcune situazioni risultano le uniche soluzioni attuabili.

I quattro scenari 2020-2030 sono definiti su un presupposto comune: la quantità di energia prodotta dalle biomasse locali supera la domanda di elettricità e calore del soggetto produttore, quindi l’eccedente deve essere esportato. L’esportazione dell’eccedente di energia può avvenire tramite cogenerazione, con vendita sia dell’elettricità che del calore (almeno il 25% di quest’ultimo, al netto del calore consumato per riscaldare i digestori) oppure mediante upgrading del biogas a biometano e immissione nei gasdotti.
La seconda variabile analizzata è la velocità con la quale la disponibilità di tali eccedenti di energia crescerà nel decennio, oggetto dello studio, definite come “crescita” e “crescita accelerata“. Si intende come “crescita” un insieme di normative incentivante la produzione di biogas, il suo utilizzo locale e la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Si intende per “crescita accelerata” un sistema come il precedente, ma con l’aggiunta di incentivi alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie che consentano una maggiore efficienza del processo di digestione anaerobica e/o upgrading.
A nostro modesto parere, è poco etico che l’ipotesi di crescita accelerata consideri dei lauti contributi allo sviluppo di tecnologie che, guarda caso, stanno ricercando le Università che hanno redatto l’informe, tecnologie che però non hanno ancora una validazione industriale sul campo, ma che i ricercatori danno per scontato che possano funzionare.

La Figura 4 mostra la produzione potenziale di energia, nelle ipotesi suddette.

Andamento temporale della produzione di biogas, in MTEP: dati 2014, previsioni 2020 e 2030 per le ipotesi di “crescita” e “crescita accelerata”

Figura 4: Andamento temporale della produzione di biogas, in Mtep: dati 2014, previsioni 2020 e 2030 per le ipotesi di “crescita” e “crescita accelerata”

In ogni caso, si presuppone l’utilizzo prioritario di deiezioni zootecniche, Forsu, fanghi e recupero del gas da discarica, con il tetto del 20% (sulla massa totale) di colture dedicate come illustrato. Il contributo del gas da discarica è decrescente, perché si assume che le discariche spariranno definitivamente dal territorio comunitario entro il 2030.
I quattro scenari sono dunque:

  • Cogenerazione + crescita
  • Biometano nei gasdotti + crescita
  • Cogenerazione + crescita accelerata
  • Biometano nei gasdotti + crescita accelerata

Conclusioni

Non è possibile prevedere se la Ce accoglierà tutte o solo alcune delle raccomandazioni dello studio in questione. E’ comunque chiaro che il settore agroenergetico ha ancora un enorme margine di crescita potenziale entro il 2030, perché solo una piccola frazione delle deiezioni zootecniche è attualmente valorizzata.

Se l’Italia attuasse politiche di incentivazione come quella descritta all’ultimo punto precedente – fatto che peraltro avviene già in Spagna e in altri paesi – il settore zootecnico avrebbe benefici non solo economici (impianti di basso costo, ridotti a semplici teli di copertura delle vasche di liquami, atti a recuperare il biogas, e incassi per le emissioni di gas serra risparmiate) ma anche di accettabilità sociale (emissioni odorigene sostanzialmente ridotte) e benessere animale (minore stress da ammoniaca, in particolare d’estate).
Tali politiche però sono contrarie agli interessi di alcuni gruppi industriali, associazioni di categoria e banche, che difendono a spada tratta il modello del biogas prodotto in impianti complessi (leggasi costosi) con l’aggiunta di biomasse coltivate – dedicate o di sovescio, poco cambia – e focalizzati sulla generazione elettrica con potenze superiori a 500 kW – che danno loro maggiori margini di guadagno, ma che non sempre sono adatte alla reale consistenza dell’azienda agricola né sfruttano pienamente il potenziale energetico del biogas.

Per concludere, abbiamo ancora due anni di incertezza finché gli euroburocrati partoriranno le nuove direttive, più le solite lungaggini nazionali per il loro recepimento. Lo scenario più probabile in Italia nell’immediato futuro è dunque lo status quo.

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Fonte: Agronotizie