L’impatto del caldo sulla produzione di latte
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Con l’arrivo dell’estate e del caldo iniziano i problemi dovuti alle temperature al di sopra delle medie stagionali. A soffrire di questo caldo sono soprattutto le bovine da latte. Non solo ne risentono nella produzione di latte ma anche a livello sanitario e riproduttivo. Con le alte temperature infatti calano le difese immunitarie e aumentano i casi di zoppie e di mastiti. Aumentano anche le fecondazioni andate a vuoto.
Vi proponiamo di seguito un articolo che illustra la situazione mettendo anche in luce i comportamenti da monitorare e i sistemi per mitigare la situazione.
Meno latte per le bovine
Ma il primo segnale che l’allevatore percepisce è il calo della produzione di latte, nell’ordine di circa mezzo litro in meno al giorno per vacca, quando la stalla può usufruire di sistemi di raffrescamento e che sale anche a tre litri in meno dove non esiste alcuna soluzione atta a mitigare lo stress termico degli animali.
Questa diminuita produzione è una delle conseguenze del tentativo dell’animale di compensare le alte temperature esterne riducendo la produzione del proprio calore metabolico. E’ anche per questo che l’animale diminuisce la quantità di alimento ingerita.
Una riduzione che si misura con l’assunzione di sostanza secca, che può arrivare a cali di oltre il 90% nelle situazioni estreme. Ovvia la caduta nella produzione di latte che ne consegue.
Gli interventi in allevamento
Per evitare questi problemi gli allevatori adottano una serie di accorgimenti per favorire l’aerazione naturale delle stalle e laddove ciò non è sufficiente si installano pale di ventilazione e doccette di raffrescamento, che possono essere azionate da sistemi automatici che entrano in funzione all’innalzarsi della temperatura.
L’importante è regolare i sensori automatici sulla base delle esigenze fisiologiche degli animali, che non coincidono con quelle dell’uomo, che nei riguardi della alte temperature si dimostra più adattabile rispetto ai bovini.
I segnali di allarme
Per comprendere quale sia il punto di intervento ottimale per l’avvio dei sistemi di raffrescamento, gli animali offrono una serie di segnali che gli allevatori possono cogliere per tempo.
Un parametro utile è quello degli atti respiratori per minuto.
Quando supera quota 80 (ma l’osservazione va fatta su una decina di capi), si sta entrando in una zona critica che richiede il raffrescamento.
Altre indicazioni utili vengono dall’atteggiamento degli animali, che gli allevatori ben conoscono.
La respirazione a bocca aperta è fra questi o il concentrarsi di gruppi presso i punti di abbeverata.
Altro atteggiamento caratteristico è il diminuito interesse per l’alimento.
Le bovine preferiscono restare in riposo nelle cuccette anziché accalcarsi in corsia di alimentazione quando viene distribuita la razione.
Il caso dei suini
Per ovviare agli inconvenienti delle alte temperature i mezzi a disposizione non sono molti.
Oltre alle ombreggiature, alle doccette e alla ventilazione forzata, poco altro si può fare senza investire capitali ingenti in sistemi di abbassamento della temperatura, come il raffrescamento evaporativo (cooling system), più utile però in ambienti confinati, come nel caso degli allevamenti di suini, animali non meno sensibili dei bovini allo stress da caldo.
Anche per i suini gli effetti del caldo si fanno sentire con una perdita di peso e nel caso delle scrofe con una riduzione della produzione di latte.
Per i suini, dove la tipologia di allevamento lo consente, sono stati utilizzati anche altri sistemi di raffrescamento, ricorrendo ad esempio alla geotermia, con un sistema di tubi interrati dove viene fatta passare a seconda dei casi aria o acqua.
Sistemi utili sia durante l’estate sia nel periodo invernale, ma tuttavia applicabili solo in particolari condizioni ambientali e climatiche.
Tenuto conto della tendenza all’aumento delle temperature medie che il cambiamento climatico in atto promette, occorre trovare altre soluzioni.
Fonte: agronotizie.imagelinenetwork.com